Come iniziare una produzione di tartufo in Italia

Estivo o invernale, bianco o nero, moscato, bianchetto, liscio o uncinato, è il frutto più nascosto della terra. L’Italia scopre la sua vocazione alla produzione del tartufo: ogni regione ne ha più di una varietà. E le tartufaie sono in aumento.

Volete impiantare una tartufaia?

Coltivare tartufi è un buon investimento che garantisce una rendita futura. Ha un costo di manutenzione minimo e richiede poca mano d’opera. L’attività è alla portata di qualsiasi imprenditore agricolo che non ha problemi di mercato: la commercializzazione del prodotto è estremamente facile. È necessaria una densità minima di circa 500 piante per ettaro di terreno, per un investimento che non si aggira intorno ai 7mila euro (il costo delle piantine è di circa 15 euro). La coltivazione dà ricavi superiori di 30 volte a quelli quella vigna. Alcune regioni prevedono incentivi. Aziende specializzate affiancano i neofiti. Ma bisogna saper attendere. Almeno 10 anni. Il ministero delle Politiche agricole ha disposto un piano che regola l’intera filiera del tartufo.

Aprire una produzione di tartufi
Aprire una produzione di tartufi

Primo passo, l’analisi del terreno

Si parte dal terreno: vanno bene tutti, esclusi quelli paludosi, le aree sopra i 1000 metri di altezza e le zone sabbiose. E’ importante eseguire una valutazione dei parametri, controllando granulometria, ph, humus, fosforo, carbonato, azoto. Se risulta idoneo sarà possibile mettere a dimora piccoli alberi micorizzati, ovvero infestati dalle spore di tartufo. Meglio farlo in estate e su piante certificate. Tiglio, nocciolo e roverella per il Bianco pregiato, faggio, leccio e rovere per lo Scorzone.

CONSIGLI DEGLI ESPERTI 08 ottobre 2020

Vademecum all’acquisto del tartufo:  forma, colore e profumo

In 11 anni l’apice produttivo.

Per la coltivazione del fungo ipogeo vanno bene in ogni caso tutte le piante boschive tipiche della macchia mediterranea. È necessario eliminare erbe che possano impedire la crescita del tartufo, utilizzando solo attrezzi manuali. Irrigare sono in periodi di siccità. E combattere i parassiti con metodi naturali. Il tempo di attecchimento è di circa 4 anni, all’undicesimo si raggiunge l’apice produttivo che persiste anche fino a 80 anni.

L’Ue riconosce i tartufi come prodotti agricoli

È possibile impiantare un bosco in zone marginali, a rischio erosione, contribuendo a contenere il dissesto idrogeologico. L’Unione europea finanzia la posa in opere di tartufaie e, da un anno, riconosce i tartufi come prodotti agricoli. Una misura che in Italia deve essere ancora recepita. La tassazione del prodotto è scesa dal 22 al 10%. Ma nel Belpaese la ricerca del tartufo però è ancora “libera nei boschi e nei terreni non coltivati”. Così spariscono le tartufaie spontanee.

A scuola di tartufo

Matteo Bartolini, presidente della Confederazione agricoltori dell’Umbria (vicepresidente di Federbio), ha avviato qualche anno fa a Città di Castello un progetto di ricerca con l’Università di Perugia su 14 ettari di terreno “svantaggiato” per la coltivazione di tartufo in tutte le stagioni, puntando sul nero pregiato di Norcia, sul nero estivo, il nero invernale di campo e il Bianchetto. Applicando sensori alle piante, ha ottenuto indicazioni costanti per l’irrigazione e la concimazione, riuscendo a ridurre il tempo di produzione e a razionalizzare le risorse idriche. Presso la sua azienda Cà Solare è aperta la Truffle school frequentata da americani, canadesi, australiani, russi e cinesi. I quali concludono il ciclo delle lezioni adottando una pianta da tartufo. Il raccolto, in genere, arriva dopo 2 anni. Presto gli allievi della Truffle school potranno adottare anche un cane addestrato alla ricerca: l’azienda agricola di Bartolini si prepara all’allevamento di cani da tartufo.

Pata Negra: ecco perchè è il prosciutto migliore del mondo nel 2021

In Italia si producono alcuni tra i migliori prosciutti del mondo, ma il più grande di tutti, il più buono in assoluto è spagnolo, conosciuto dal grande pubblico come Pata Negra, il suo nome corretto è Jamón Iberico de Bellota.

Mettiamo da parte il campanilismo italiano, dinanzi a questo prosciutto non ci sono caz.. non ci sono paragoni che tengono, crudo di Parma, S. Daniele, Culatello di Zibello, sono diversi gradini sotto il Jamón Iberico de Bellota.

Prodotto da suini di razza iberica con mantello nero dalla caratteristica unghia dello zoccolo di colore nero, di qui Pata Negra. Da questi suini vengono prodotti diversi tipi di Jamón Iberico, a seconda del tipo di allevamento, alimentazione e stagionatura avranno una denominazione diversa. Quello con la denominazione Jamón Iberico de Bellota è il top.

I maiali le cui zampe posteriori diventeranno Jamón Iberico de Bellota sono allevati allo stato brado nei boschi e si nutrono essenzialmente di ghiande di quercia cadute dagli alberi e di poche altre risorse boschive (al massimo due maiali per ettaro garantisce la giusta quantità di ghiande per ognuno), gran parte del segreto è proprio qui, il resto è dato dalla macellazione fatta in modo da non causare stress per l’animale che innescherebe una serie di reazioni chimiche che comprometterebbero il sapore delle carni, infine, la lunga stagionatura (almeno 24 mesi sino a 48) chiude il cerchio.

Le ghiande di quercia sono ricchissime di acido oleico, la medesima sostanza di cui sono ricche le olive e di conseguenza l’olio extravergine di oliva. L’acido oleico contenuto nelle ghiande di cui sono ghiotti i suini iberici si ritroverà, poi, nel grasso del prosciutto che paradossalmente alla sua natura di grasso animale sarà chimicamente molto simile ad un grasso vegetale, ricco di colesterolo “buono”. La caratteristica concentrazione di acido oleico nel grasso che attornia il prosciutto determinerà, poi, a livello gustativo un’esperienza straordinaria, quel grasso color corallo si scioglie letteralmente in bocca.

Il prosciutto pata negra è un’incomparabile esperienza gusto-olfattiva che difficilmente si riesce a dimenticare, le sue carni di colore rosso intenso hanno un penetrante profumo di erbe di campo, il grasso è attorno alle carni ed alcune sottili fibre sono anche tra il rosso vivo della carne, un grasso straordinariamente sapido, un grasso che fonde letteralmente alla temperatura di 32-33° donando ancora maggiore sapidità al boccone, un sapore intenso, estremamente profondo e lungo, lunghissimo.

Da provare accompagnato con delle ottime bollicine, un’esperienza che manda in paradiso le papille gustative.

Una foto del taglio manuale di un prosciutto prelibato come il Pata Negra:

Taglio a mano del prelibato prosciutto Pata Negra

Taglio a mano del prelibato prosciutto Pata Negra

Foto del fotografo Ben_Kerckx

Come cuocere i tipici arrosticini abruzzesi fatti a mano

Gli arrosticini sono degli spiedini di carne di pecora famosi in tutta Italia per il loro gusto unico e la carne morbida. Chiamate anche “rustelle”, rappresentano il piatto tipico abruzzese, cucinato in tutte le province e accompagnato sempre da pane bruschettato e olio extra vergine d’oliva.

La carne degli arrosticini abruzzesi realizzati in macchina è carne di pecora, tagliata in piccoli pezzetti di 1 cm, inseriti negli spiedini lunghi circa 30cm. Gli spiedini degli arrosticini sono chiamati dagli abitanti del posto “i ceppi”.

Grazie alla grande diffusione degli arrosticini abruzzesi, oggi è molto facile trovarli su tutto il territorio e in alcuni ristoranti abruzzesi presenti in altre città italiane.

Arrosticini tipici d'Abruzzo
Arrosticini tipici d’Abruzzo

Segreti dell’arrosticino abruzzese: tempi di cottura.

Gli arrosticini fatti a mano si realizzano tagliando i cubetti di carne a tocchetti irregolari, della grandezza massima di 1 – 1,5 cm circa, unendo pezzi di carne magra a tocchetti di carne grassa. Quest’ultima è molto utile in cottura perché rende l’intero arrosticino più morbido e profumato.

Il segreto della bontà degli arrosticini fatti a mano è la cottura, che varia in base alla temperatura e all’intensità del fuoco, oltre che al tipo di griglia utilizzata. Gli arrosticini abruzzesi si cuociono alla brace, su uno speciale braciere denominato “la fornacella” o “rostelleria” caratterizzato da una forma di canalina allungata dove si realizza la brace.

Cucinare gli arrosticini sulla “canala” permette di arrostire la carne in modo costante ed evita di bruciare i ceppi di legno non coperti dalla carne. La fiamma nel canale non deve essere alta, altrimenti la carne diventa secca e dura.

Gli arrosticini si dispongono in fila sulla fornacella, uno accanto all’altro, e devono essere girati su entrambi i lati dopo alcuni minuti di cottura. Per sapere quando girare l’arrosticino è importante controllare il colore dorato della carne.

Tra i segreti sulla cottura dell’arrosticino troviamo la salatura, quel procedimento che spesso provoca discussioni tra gli abruzzesi stessi. Secondo gli esperti della tradizione, il sale deve essere messo sugli arrosticini solo una volta durante la fase finale della cottura, mentre altri amanti del piatto preferiscono salare su entrambi i lati per due volte.

Una volta cotti, gli arrosticini devono essere raccolti in gruppi da dieci e inseriti in un cartoccio di carta stagnola, utile a conservare il calore e l’aroma.

Come cuocere i tipici arrosticini di pecora abruzzesi
Come cuocere i tipici arrosticini di pecora abruzzesi

Curiosità sugli arrosticini abruzzesi

In origine, gli arrosticini abruzzesi erano il piatto povero consumato dai pastori situati nella zona sud del Gran Sasso. Oggi, è possibile trovare gli arrosticini abruzzesi in tutte le città della regione e in qualsiasi locale con un menù di carne.

Gli arrosticini possono essere mangiati ovunque: in spiaggia, a casa, in macchina, al pub, in una festa di paese, in montagna, al lago e in qualsiasi altro luogo. Grazie alla loro diffusione su tutto il territorio regionale, ci sono tante aziende che realizzano arrosticini in serie e tanti produttori di arrosticini fatti a mano che vendono il prodotto anche nei market locali.

In passato, i lunghi bastoncini utilizzati come spiedini erano ricavati da piante situate sul fiume di Pescara: i pastori tagliavano i pezzi di legna dalle piante e procedevano alla rifinitura per ottenere un bastoncino perfetto.

Infine, è bene sapere che il sapore degli arrosticini è molto forte, per questo motivo si consiglia di accompagnare il piatto con un vino rosso della zona, ovvero il Montepulciano d’Abruzzo. Questo vino è un vino rosso corposo, prodotto in molte zone della regione. In alternativa, i proprietari della locanda consigliano un vino rosso della casa diluito in un quarto di gassosa (champagnino) e portato insieme ad alcune fette di pane casereccio bruschettato e condito con olio extravergine d’oliva locale.